Open House 2020, tra innovazione e voglia di rinascita.

Sono passati circa trent’anni dalla nascita di Open House Worldwide, quando nel lontano 1992 veniva fondato, a Londra, il primo festival dell’architettura globale con lo scopo di sensibilizzare i cittadini all’importanza dell’architettura intesa come strumento di progettazione degli spazi urbani e di miglioramento della qualità della vita. Da allora, Open House è un fenomeno in costante crescita che associa ormai 47 città nei cinque continenti, con oltre un milione di cittadini coinvolti in tutto il mondo.

Photo by @Wesual

In Italia sono già quattro le città che aderiscono al network di Open House: Roma, Milano, Torino e, dal 2019, Napoli. L’edizione italiana di quest’anno ha già toccato Napoli e Milano, mentre attende di svelare i patrimoni celati di oltre 200 siti pubblici e privati della città capitolina. Infatti, se per quest’anno Torino ha rinunciato all’edizione 2020, Roma si prepara ad aprire le sue “ROOMS” al pubblico. Il consiglio è monitorare il sito di Open House Roma  per conoscere le date da non perdere.

Ma facciamo il punto su quello che quest’inizio di stagione ci ha rivelato sull’architettura celata delle due città simbolo del nord e sud Italia. L’ouverture della programmazione Open House 2020 è cominciata a Napoli, che quest’anno ha rappresentato l’elemento alchemico della manifestazione italiana.

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Città famosa in tutto il mondo ma ancora molto segreta e poco rivelata, Napoli ha aperto le porte di più di 130 edifici, quasi tutti inaccessibili, aperti ai visitatori accompagnati da più di 500 volontari, per un totale di 16.000 visite organizzate in 48 ore (3-4 ottobre). Un viaggio al centro della Napoli sotterranea, della Napoli rigenerata del centro storico e dei percorsi del verde urbano, alla Napoli dell’infanzia, della creatività “dal basso” concentrata nei municipi più periferici, a cui, quest’anno, è stata dedicata un’attenzione speciale.

Il merito di questa edizione innovativa si deve all’Associazione Culturale Openness, un gruppo di architetti, comunicatori, esperti di sviluppo sostenibile, operatori culturali, sociologi e creativi che hanno messo insieme le loro esperienze e competenze per costituire sul territorio urbano uno spazio aggregante, attivo tutto l’anno, di conoscenza, dialogo, progettualità.

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Innovazione è stata anche la parola d’ordine dell’edizione milanese appena conclusasi (10 e 11 di ottobre), caratterizzata da un palinsesto ibrido, tra aperture offline e online e contenuti speciali.

Un’edizione straordinaria che assume i toni di un manifesto estetico e politico, mosso dal desiderio di dare un seguito al susseguirsi di immagini di una Milano monumentale, vuota e silenziosa, come quella che abbiamo visto scorrerci dinanzi agli occhi duranti i lunghi mesi di isolamento. “Una bellezza congelata in attesa di nuova vita” recita il testo di presentazione di OH Milano.

Nella sua straordinarietà, l’edizione milanese ha comunque dato prova di rispetto dei tempi presenti, con un’organizzazione limitata e contingentata. Al programma fisico, composto da una selezione di aperture di 20 siti e di 3 itinerari tematici, si è aggiunto un palinsesto digitale con 20 interviste ed approfondimenti ad artisti, architetti, critici, curatori, galleristi, fotografi, professionisti nel campo del real estate, coi cui gli organizzatori dell’evento hanno dialogato immersi nell’architettura dei loro studi, delle loro case o degli spazi che hanno occupato con le loro narrazioni. Attraverso interviste e i piccoli video tour live, Open House Milano è riuscita ad “aprire” ancora di più gli interni d’autore e ad ampliare l’accesso ad immagini e contenuti, anche oltre la programmazione delle 48 ore.

Questa edizione, storica anche per questo, ha dimostrato che, se c’è un posto da cui ripartire, è la città e il senso d’appartenenza ad essa.

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